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Toblerone: addio all’icona elvetica

Nel 2025 Toblerone ha messo fine alla produzione ed é scattata la caccia all’ “Oro Nero”. I supermercati sono stati presi d’assalto per accaparrarsi le ultime scorte.

 


Finisce un’epoca per gli appassionati del cioccolato fondente: Toblerone, lo storico marchio svizzero famoso per la sua forma a triangolo, ha comunicato lo stop definitivo alla produzione della sua celebre tavoletta fondente. La notizia, arrivata all’improvviso, ha dato il via a un vero e proprio assalto agli scaffali dei supermercati, con molti consumatori decisi a fare scorta dell’ultima incarnazione di un’icona della tradizione dolciaria svizzera. Le ragioni ufficiali della scelta non sono ancora state chiarite, ma voci di corridoio parlano di un cambiamento nei gusti del pubblico, sempre più attratto da novità e sapori esotici, come dimostra il recente successo virale sui social del cosiddetto “Dubai Chocolate”.


Questo cambiamento nelle preferenze dei consumatori, insieme a possibili dinamiche di mercato e all’aumento dei costi delle materie prime, potrebbe aver reso la produzione del Toblerone fondente economicamente meno sostenibile.


La tavoletta di cioccolato fondente Toblerone, con la sua iconica forma ispirata al Cervino, ha incarnato per anni l’eccellenza e la tradizione della Svizzera. Ogni “cima” di cioccolato non era soltanto una porzione da gustare, ma anche un omaggio visivo al territorio da cui proveniva, rafforzando il legame tra il prodotto e le sue radici culturali. La sua ricetta distintiva, a base di cioccolato fondente, miele e granella di mandorle, ha conquistato generazioni di consumatori in tutto il mondo, affermandosi come un classico senza tempo tra le scorte dei negozi e nelle abitudini dei golosi. Oggi, però, questo simbolo comunica il suo l’addio, lasciando un senso di nostalgia tra chi vede sparire un piccolo ma significativo piacere quotidiano.


Il legame affettivo tra i consumatori e il Toblerone è profondo. I carrelli pieni di barrette testimoniano un addio sentito, quasi fosse il saluto a un compagno di vecchia data. Nonostante il dispiacere per la scomparsa di un prodotto iconico, resta viva la speranza che Toblerone possa, in futuro, tornare a sorprendere gli amanti del fondente con nuove proposte. Ci si augura magari una versione rivisitata della ricetta originale o l’introduzione di abbinamenti innovativi. Intanto, una cosa è certa: le ultime barrette sono andate a ruba, diventando piccoli tesori da assaporare lentamente, con un velo di malinconia.


Fonte: Cioccolato, il colosso svizzero chiude per sempre, è addio all’icona elvetica: ai supermercati ressa per le ultime scorte – Piemontetopnews.

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Loacker compie 100 anni: come una piccola pasticceria di Bolzano é diventata un colosso a livello mondiale

L’ azienda, diventata un simbolo dell’eccellenza italiana, celebra il suo centenario. La prima cialda a lunga conservazione fu ideata per far fronte all’aumento della clientela la domenica, quando il fondatore, impegnato anche come calciatore, non poteva essere in pasticceria.

 


“Un miliardo e 50 milioni di confezioni vendute nel 2024: vale a dire che nel mondo una persona su otto, virtualmente, ha scartato un prodotto Loacker nell’ultimo anno”, Ulrich Zuenelli, presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda altoatesina, riassume così l’enorme successo raggiunto dal gruppo, che si prepara a festeggiare il suo centenario.


La storia dell’azienda inizia nel 1925, quando il pasticcere Alfons Loacker, dopo un diverbio con il suo datore di lavoro, decide di avviare una sua attività acquistando un negozio nel centro di Bolzano. Tuttavia, c’è un problema da risolvere: Alfons è anche un calciatore, centrocampista, e le partite si disputano nel weekend, proprio quando la domanda di dolci è maggiore. Così nasce l’idea di produrre un dolce che potesse conservare la sua freschezza nel tempo, permettendogli di non rinunciare al calcio. Il wafer si rivela il prodotto ideale. La piccola pasticceria, che all’inizio conta solo tre dipendenti, crea la prima “cialda di Bolzano”, che verrà poi venduta come snack in confezioni singole. Questo è l’inizio del successo che seguirà negli anni. Un altro momento fondamentale arriva nel 1958, quando la seconda generazione entra nell’azienda in forte espansione: Armin Loacker assume la responsabilità della produzione e, dieci anni dopo, viene affiancato dalla sorella Christine, che si occupa dell’amministrazione e della distribuzione.


Verso la fine degli anni ’60 viene introdotto un forno automatizzato per la produzione dei wafer, con un conseguente aumento esponenziale della produzione. Si avvia anche l’esportazione, facilitata dalla confezione “salva-freschezza”. Nel 1974, la produzione si trasferisce nella frazione di Auna di Sotto, sita nel comune di Renon, località montana in provincia di Bolzano, a mille metri di altitudine. Sebbene i tornanti che conducono al sito rendano complicati gli spostamenti, Armin Loacker crede fermamente che i prodotti di qualità si possano fare solo dove l’aria è più pulita. Nel 1984 arriva un’idea innovativa in ambito pubblicitario: gli Gnometti Loacker appaiono per la prima volta in uno spot televisivo, conquistando rapidamente la simpatia degli italiani. In quell’anno, la terza generazione entra in azienda: Andreas Loacker assume la responsabilità dell’intero reparto di sviluppo, mentre Ulrich Zuenelli guida la divisione vendite. Martin diventa presidente del Consiglio di Amministrazione. Alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000, l’azienda inaugura il suo stabilimento a Heinfels, in Tirolo Orientale, Austria, e apre il primo Loacker Café.


Loacker raggiunge il traguardo del centenario con risultati che testimoniano una crescita continua: nel 2024 ha registrato un fatturato di 460 milioni di euro, è presente in 110 Paesi, detiene una quota di mercato mondiale del 4,5% (secondo Euromonitor International) e conta 1.175 dipendenti. Un’evoluzione straordinaria, considerando che agli inizi degli anni ’80 le esportazioni erano appena pari a mezzo milione di euro, mentre oggi ammontano a 255 milioni. Non mancano le sfide, come ammettono i vertici aziendali, la terza generazione di Loacker. “L’impennata del prezzo del cacao, schizzato da 2.200 a oltre 12.000 dollari prima di assestarsi su livelli più contenuti, impatterà sui prodotti ricoperti al cioccolato, che rappresentano il 35% del fatturato. Ma l’effetto sarà contenuto rispetto a competitor con prodotti composti al 100% da cioccolato”, rassicura Zuenelli. Nel frattempo, l’azienda guarda al futuro: Andreas Loacker, vicepresidente del consiglio di amministrazione, annuncia che nei prossimi due o tre anni sarà costruito un nuovo centro tecnologico per la ricerca e lo sviluppo ad Auna di Sotto, vicino alla sede centrale. Un investimento che punta sull’innovazione, che rappresenta uno dei pilastri della strategia aziendale di Loacker, insieme alla qualità delle materie prime ed alla sostenibilità.


Il centenario è stato anche l’occasione per presentare il nuovo slogan dell’azienda: “La bontà è una scelta ribelle”, che, secondo Yvonne Profanter, direttrice della comunicazione “celebra la capacità dell’azienda di fare scelte controcorrente senza compromessi sulla qualità”. Questa filosofia ha portato alla decisione di localizzare gli impianti produttivi oltre i 1.000 metri di altitudine, ad Auna di Sotto e Heinfels, nel Tirolo orientale, nonchè a sviluppare iniziative come i “noccioleti italiani”.


Da piccola pasticceria con soli tre dipendenti a leader globale nel settore dolciario, la storia di Loacker rappresenta un esempio emblematico di come innovazione, qualità e forte legame con il territorio possano dar vita a una crescita internazionale. Un modello che l’azienda intende continuare a seguire nei prossimi anni, concentrandosi su ricerca, sostenibilità e quella “bontà ribelle” che l’ha resa un simbolo di eccellenza del made in Italy nel mondo.


Fonte: Loacker compie 100 anni, dal wafer che dava il tempo al nonno di giocare a calcio agli gnomi: così la mini-pasticceria di Bolzano è diventata un colosso – Corriere del Trentino.

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Alla ricerca della crema perduta: Kinder Prima Crema

La Kinder Prima Crema comparsa per un breve lasso di tempo in alcuni supermercati di zone test italiane agli inizi degli anni ’90 rimane uno dei più grandi misteri legati al marchio Kinder-Ferrero.

 


All’inizio degli anni ’90, per un breve periodo, apparve in alcuni supermercati di zone test italiane accuratamente selezionate da Kinder-Ferrero, tra cui la città di Modugno, in provincia di Bari, sede di uno stabilimento Ferrero, una crema spalmabile in vaso di vetro da 1 kg con coperchio arancione scuro, quasi rosso. Ma non si trattava di una rivisitazione della più famosa crema spalmabile al mondo, la Nutella, bensì di una vera e propria nuova delizia, ribattezzata Kinder Prima Crema, da gustare e spalmare su tutto. In pochissimo tempo, questa crema mise seriamente a rischio la leadership incontrastata del prodotto di punta della casa Ferrero. Si trattava di una crema di colore marrone chiaro, dalla consistenza eccezionalmente fine e fondente, in cui l’equilibrio tra cioccolato e nocciola era perfetto, senza che nessuno dei due sapori prevalesse sull’altro, e con l’aggiunta di granella finissima di nocciola perfettamente amalgamata al composto. Il gusto ricordava molto il ripieno cremoso del Kinder Bueno o del Kinder Cioccolato.


Per quanto riguarda la registrazione del marchio, in Germania, tra il 1979 e il 1980, il marchio Kinder Prima Crema fu registrato per la prima volta presso l’ufficio brevetti dell’allora Repubblica Federale Tedesca.
Lo stesso brevetto venne registrato anche in Italia sette anni dopo, nel 1987, poco prima della sua distribuzione limitata nelle aree test, e rinnovato due volte: nel 1996 (con data di registrazione nel 1998) e nel 2006 (con data di registrazione nel 2010).
Questo significa che i diritti sul nome, sulla preparazione e sulla distribuzione del prodotto sono riservati a Kinder-Ferrero, anche se attualmente non è in commercio in nessun punto vendita.


Ma da cosa era composta la Kinder Prima Crema? Quali erano i suoi ingredienti? Gli ingredienti della Kinder Prima Crema erano: zucchero, nocciole (21%), grassi vegetali, latte scremato in polvere (10%), latte intero in polvere (6%), cacao magro (3,5%), emulsionante lecitina, aromi naturali, ed era prodotta nello stabilimento Kinder-Ferrero di Alba (CN).


Nel breve periodo in cui fu presente sul mercato, la Kinder Prima Crema andò letteralmente a ruba, conquistando i palati dei consumatori, anche i più esigenti. La Kinder-Ferrero, temendo che questa nuova crema spalmabile potesse offuscare l’eccellenza dell’azienda, la Nutella, decise, al termine del periodo di sperimentazione, di non destinarla alla grande distribuzione. Da allora, della Kinder Prima Crema non è rimasta alcuna traccia, se non nella memoria e nel gusto di coloro che, all’inizio degli anni ’90, hanno avuto la fortuna di assaggiarla.


Fonte: Sorpresiamo – tutti i diritti sono riservati.

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Il perduto Kinder Happy Time

Il dimenticato Kinder Happy Time, distribuito in Italia a fine anni ’90 solo come prodotto test in alcune aree circoscritte, come avvenne anche per il Kinder Bibito ed il Kinder Venice, fu, invece, commercializzato e diffuso in Francia.

 


Con Kinder Happy Time la Ferrero inventa a fine anni ’90 una nuova generazione di dessert per i bambini: un gelato confezionato prodotto in casa. Idea originale in casa Ferrero questo nuovo prodotto, che voleva fare concorrenza ai gelati confezionati più conosciuti e famosi. Sul territorio italiano passerà come una meteora, distribuito solo in alcune aree test ed accompagnato da una serie di dipinti a mano diventata rarissima e ricercatissima: quella dei Gracchiarelli, riproposizione della serie tedesca uscita nei Kinder Sorpresa nel 1996 “Die Bingo Birds”. Il prodotto ebbe, invece, un grande successo in Francia dove fu commercializzato ed apprezzato da adulti e bambini. Il packaging non passava inosservato, funzionale e sicuro, permetteva ai consumatori di gustare il gelato fino all’ultima goccia..


Ferrero, con Kinder Happy Time, aveva creato un nuovo dessert dalla texture cremosa e golosa. Il risultato? Un prodotto che si distingueva dagli altri attori di mercato per le sue qualità organolettiche ed il gusto inimitabile. Il confezionamento di Kinder Happy Time era davvero originale: il prodotto era racchiuso in un contenitore plastico sigillato ermeticamente da un coperchio in alluminio pretagliato a forma di voluta. Questo packaging presentava una vera rottura con i tradizionali contenitori da gelato. Il tutto era completato da un tappo di plastica con due sezioni: una parte che proteggeva il contenuto e un’area perforabile che permetteva di inserire facilmente una cannuccia per gustare in modo alternativo il gelato. Grazie a questo sistema a doppia chiusura, il dessert poteva essere gustato fino all’ultima goccia, anche se il contenitore veniva capovolto o agitato. Si trattava di una confezione sicura, pratica e ideale per un consumo “on the go”, pulito ed individuale.


Kinder Happy Time veniva venduto in Francia in una vaschetta di cartone sagomata che conteneva tre unità oppure come prodotto singolo.
Si poteva scegliere fra il gusto cioccolato caratterizzato da una confezione di colore marrone ed il gusto vaniglia, caratterizzato, invece, da una confezione di colore bianco.


Rimasto in commercio fino quasi alla fine degli anni 2000 nel mercato francese Kinder Happy Time ebbe un enorme successo grazie alla giusta combinazione tra la qualità del prodotto, il lavoro dei designer per il packaging, il marketing ed il comparto industriale.


Kinder Happy Time è stato chiaramente progettato pensando al piccolo consumatore. Era molto sicuro e facilissimo da maneggiare. Il sistema del coperchio con foro pretagliato consentiva di inserire la cannuccia e forare la capsula senza dover “mirare” e senza il rischio di scivolamenti, come poteva accadere con altri tipi di confezioni da perforare.
La sua forma conica era particolarmente adatta ad essere impugnata da una mano di bambino. Tuttavia, non risultava molto pratica da riporre nel frigorifero di casa.


Kinder Happy time ha sicuramente rappresentato un prodotto originale e creativo che ha allietato i palati di tanti bambini francesi e non solo. In Italia non ebbe molto successo e, dopo la sperimentazione nelle aree test, la Ferrero decise di non commercializzarlo su larga scala. In terra transalpina il Kinder Happy Time rimase in commercio fino alla fine degli anni 2000, dopodiché la Ferrero decise di bloccarne la distribuzione. Dopo questa scelta, il prodotto, il cui marchio risulta ancora brevettato e registrato non ebbe più alcuna diffusione nè in Francia nè altrove.


Fonte: Sorpresiamo – tutti i diritti sono riservati.

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1925 – 2025: i cent’anni di Michele Ferrero

La visione, la determinazione e l’umanità di un imprenditore che ha lasciato il segno a livello globale, partendo da Alba: nacque il 26 aprile 1925.

 


C’è chi lascia il mondo con un’invenzione, chi con un’azienda, chi con un’idea. Michele Ferrero, nato a Dogliani il 26 aprile 1925, ha lasciato tutto questo e molto di più: una visione concreta del futuro. A cento anni dalla sua nascita, l’uomo che ha fatto di Alba un punto di riferimento nella geografia industriale globale continua a vivere nei gesti quotidiani di chi lavora nello stabilimento di via Vivaro, nei sorrisi che una cucchiaiata di Nutella riesce ancora a regalare, ma soprattutto nelle parole che rivolgeva ai suoi collaboratori: “Quando parli con una persona, ricorda: anche lui è importante”.


Michele Ferrero era un imprenditore straordinario, ma prima di tutto un uomo di fede, profondamente legato alla sua terra ed al suo dialetto. Devoto alla Madonna di Lourdes, che considerava una fonte di luce nei momenti di difficoltà, come quello devastante della perdita del figlio Pietro nel 2011, aveva impostato la Ferrero come una grande famiglia. Le regole che ne guidavano la crescita erano semplici, ma piene di significato: ascolto, rispetto, umanità. Un codice etico che continua a nutrire e a rendere amata una delle multinazionali italiane più apprezzate nel mondo.


“La Valeria è la vera protagonista di tutto”, raccontava Michele Ferrero nella sua unica intervista, rilasciata a Mario Calabresi. “È la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia… è il consumatore che decide se ce la fai o no”. Valeria rappresentava il punto di riferimento per ogni nuovo prodotto, dai Rocher agli Ovetti Kinder. E se cambia idea, spiegava Ferrero, non lo fa con una lettera: semplicemente smette di comprare.


Non era interessato a ricevere onorificenze. Rifiutò una laurea honoris causa dall’Università di Torino e declinò l’invito di Berlusconi a rappresentare l’Italia al G7, rispondendo: “Lascia perdere, ci facciamo una cena con le nostre famiglie”. Preferiva rimanere in disparte, permettendo che fossero i suoi prodotti, e le persone, a parlare al suo posto.


La figura di Michele Ferrero è stata raccontata anche nel libro di Salvatore Giannella, “Michele Ferrero. Condividere valori per creare valore” (Salani Editore, 2023), la prima biografia autorizzata dell’imprenditore albese. Un racconto che mescola interviste, documenti e ricordi familiari. Tra gli intervistati figurano il figlio Giovanni, il presidente di Ferrero Italia Bartolomeo Salomone, l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, e lo storico segretario Gianni Mercorella, scomparso nel novembre 2022.


Vengono alla luce storie finora inedite. Come quella volta in cui, ancora giovane, Michele tornò entusiasta da Asti con il suo primo ordine di 10 chili di Pasta Gianduja, esclamando: “Abbiamo vinto, papà!”. Oppure l’insolita scelta di assumere un assistente notturno, soprannominato “segretario pipistrello”, incaricato di trascrivere le sue brillanti intuizioni che gli venivano in mente durante la notte. O ancora, la difficile decisione di trasferire i figli a Bruxelles, dopo che il generale Dalla Chiesa lo aveva messo in guardia da un possibile rapimento orchestrato dalle Brigate Rosse.


 

 


Il 14 febbraio 2015, si è spento a Montecarlo. Il giorno precedente, Giovanni gli aveva comunicato una notizia epocale: la Ferrero aveva superato Nestlé, conquistando il terzo posto tra i gruppi dolciari a livello globale. Fu l’ultima grande gioia della sua vita.


E proprio lungo questa linea di continuità, tra passato e futuro, nel 2024 si sono festeggiati i sessant’anni della Nutella, la crema che più di ogni altra rappresenta l’essenza di Michele Ferrero: un’idea geniale, una cura meticolosa e una grande attenzione verso il consumatore. Tra le iniziative per l’occasione, si è tenuta anche una mostra al Maxxi di Roma.


Un anniversario che ha sottolineato quanto l’eredità di quella “Supercrema” nata nelle Langhe sia ancora viva, perfezionata, rinominata e infine diventata un prodotto globale. “La Valeria è la padrona di tutto”, diceva Ferrero. Più di sessant’anni dopo, quella visione resta il nucleo centrale di un marchio che, pur evolvendosi, rimane fedele alle sue radici.


Fu un pioniere nella responsabilità sociale d’impresa, molto prima che questo concetto diventasse di uso comune. Le corriere per i dipendenti, le colonie per i bambini dei lavoratori, la Fondazione Ferrero per i pensionati. E, soprattutto, le diciassette regole appese nelle fabbriche: “Non fate sentire piccoli i vostri collaboratori”, “la sedia più comoda sia per loro”, “non date le briciole del vostro tempo”. Fino a quella che è rimasta scolpita: “Un buon capo può far sentire un gigante un uomo normale. Ma un cattivo capo può trasformare un gigante in un nano”.


Quel giorno, ad Alba, le code davanti allo stabilimento sembravano non finire mai. La piazza del Duomo era affollata. Oltre dieci anni dopo, una piazza (ex piazza Savona) e il nuovo ospedale portano il suo nome, (in questo caso, insieme a quello di suo figlio Pietro)”.


Ma ciò che rimane davvero è intangibile: si trova nella fiducia che è riuscito a infondere, nella cultura del lavoro che ha creato, nell’idea che un’impresa possa essere un ambiente umano.


Cent’anni dopo, Michele Ferrero rimane. Con il suo linguaggio essenziale, con la sua Nutella, con la sua visione e con una regola chiara e ferma: “Fare diverso dagli altri, avere fede, tenere duro e mettere ogni giorno al centro la Valeria”.


Fonte: I cent’anni di Michele Ferrero e il suo insegnamento: “Fare diverso dagli altri, avere fede e tenere duro'” – Targatocn.

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Trenta biglietti d’oro in stile Willy Wonka: a Torino c’è una fabbrica di cioccolato come quella del film, la Ziccat

La Ziccat, storica azienda di via Bardonecchia a Torino, ha nascosto 30 biglietti d’oro nelle sue tavolette. I fortunati che riuscivano a trovarli nel periodo compreso fra il 15 ottobre ed il 29 novembre 2024, vincevano un tour guidato presso il laboratorio dell’azienda con tanto di degustazione di praline, gianduiotti e cremini creati in città dal 1958.

 


I fan di Willy Wonka possono esultare: anche Torino ha la sua fabbrica di cioccolato da visitare, proprio come nel romanzo di Roald Dahl e nei film tratti da esso, quello del 1971 con Gene Wilder, quello del 2005 di Tim Burton con Johnny Depp e quello del 2023 con Timothée Chalamet. E, come nel celebre racconto, era possibile visitarla trovando il biglietto d’oro nascosto nelle tavolette di cioccolato in vendita nei punti vendita Ziccat nel periodo compreso fra il 15 ottobre ed il 29 novembre 2024.


Nel romanzo e nei film i biglietti d’oro erano solo 5, mentre Ziccat, storica fabbrica di cioccolato torinese attiva dal 1958, ne aveva messi in palio ben 30. Così, trenta fortunati vincitori hanno avuto l’opportunità di vivere una visita speciale al laboratorio di produzione in via Bardonecchia 185 a Torino, con degustazione di tutti i prodotti del marchio e un omaggio esclusivo da portare a casa.


L’idea ispirata a Willy Wonka è nata per far conoscere il nuovo laboratorio torinese di via Bardonecchia, che era stato ampliato e modernizzato. Qui, negli anni Novanta, si era trasferita la bottega del cioccolato aperta nel 1958 in corso Palermo, con l’obiettivo di aumentare la produzione. Nel laboratorio, il cioccolato veniva lavorato con meticolosa cura artigianale, selezionando materie prime di alta qualità, rispettando la tradizione ma al contempo innovando nei gusti e nel design. Oltre al classico gianduiotto, vi erano anche i tipi di cioccolato preferiti (fondente e ciliegia al maraschino), i cremini, le praline più creative (più di cinquanta varietà), la palla di cioccolato per l’albero di Natale e piccole sculture completamente fatte di cioccolato.


A guidare la visita della Fabbrica di Cioccolato c’era Alberto Brustia, titolare e CEO di Ziccat, che nel 2014 aveva acquisito il marchio insieme ai soci Alexis Rosso, responsabile della produzione, che lavorava in azienda da oltre vent’anni ed era considerato la sua memoria storica, e al maestro cioccolatiere Lorenzo Melchiorre, con un ricco background nel mondo della cioccolateria e della pasticceria, che includeva esperienze anche presso ElBulli, il leggendario ristorante di Ferran Adrià.


Una combinazione di persone, competenze e visioni d’impresa che rende Ziccat uno dei nomi più importanti del panorama del cioccolato torinese, ma per tutto il resto sarà come entrare in un film in 3D.


Fonte: Torino, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato «rinasce» in città. Chi trova il biglietto d’oro visiterà la storica Ziccat – Corriere di Torino.

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La coppia tortonese che ha trovato uno dei 50 Kinderini d’oro

Una coppia di Tortona ha trovato uno dei 50 “Kinderini d’oro” creati per celebrare i 50 anni di Kinder Sorpresa, un premio che includeva un viaggio di tre giorni ad Alba con visita alla Fabbrica di Cioccolato Ferrero.

 


L’iniziativa dell’azienda dolciaria ha causato un notevole aumento nelle vendite degli ovetti Kinder, in particolare della serie Natoons, contraddistinta dal logo della promozione. Anche chi non mangiava più ovetti da anni è lasciato conquistare dal concorso, che richiamava quello ideato nel celebre racconto di Roald Dahl su Willy Wonka, reso ancora più famoso dalle versioni cinematografiche interpretate da attori come Gene Wilder, Johnny Depp e, più recentemente, Timothée Chalamet.


Così è stato per Geraldina Schembari e Andrea Girotto. Marito e moglie non erano grandi consumatori di Kinder Sorpresa e, per la coppia, come per milioni di italiani, l’ovetto rappresentava più che altro un dolce ricordo dell’infanzia. Tuttavia, l’iniziativa dei Kinderini d’oro ha fatto breccia e ha conquistato Geraldina. È stata lei a notare la pubblicità ed a tentare la fortuna. Più scettico era suo marito Andrea, che le aveva detto: “Figurati se vinciamo.”


E invece, aprendo la scatoletta acquistata all’Esselunga di Tortona all’inizio di novembre, è stato proprio Andrea a trovare il Kinderino dorato in uno degli ovetti. “Eravamo increduli. Mia moglie è semplicemente passata davanti allo scaffale, si è ricordata della pubblicità e ha preso una confezione a caso”. La fortuna ha voluto che quella confezione, portata a casa da Geraldina, contenesse proprio uno degli ovetti che aprivano le porte della fabbrica di cioccolato piemontese e del Laboratorio delle sorprese, dove creativi, designer e ingegneri progettano i giochi che tutti, o quasi, abbiamo collezionato da bambini.


Fonte: Coppia tortonese trova uno dei 50 kinderini d’oro che aprono le porte della fabbrica di cioccolato di Alba – Radio Gold News Alessandria.

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Kinder Sorpresa come Willy Wonka. Chi trova il Kinderino d’oro vince la visita in azienda proprio come nel film la Fabbrica di cioccolato

Kinder Sorpresa, l’iconico ovetto al cioccolato che racchiude in sé l’emozione di una sorpresa, il divertimento del gioco e l’inconfondibile cioccolato Kinder, nel 2024 ha festeggiato il cinquantesimo anniversario dalla sua invenzione.

 


Per celebrare questo traguardo il brand ha promosso un’iniziativa speciale ovvero permettere a 50 fortunati vincitori di vivere un’esperienza unica, insieme alla propria famiglia. Chi avrebbe trovato uno dei 50 Kinderini dorati in edizione limitata, creati appositamente per l’anniversario e inseriti all’interno della serie Kinder Sorpresa Natoons con il logo del concorso, avrebbe avuto l’opportunità di vivere un’esperienza indimenticabile. I vincitori avrebbero ricevuto un pacchetto viaggio per Alba, dove avrebbero potuto visitare il Laboratorio delle Sorprese Kinder e vivere la magia di Kinder Sorpresa.


Il pacchetto comprendeva per ogni Kinderino dorato trovato entro la data del 31 gennaio 2025, il trasferimento ad Alba e il ritorno a casa con partenza da un aeroporto o una stazione ferroviaria italiani, due pernottamenti, due cene, un pranzo e la visita al laboratorio in un periodo tra marzo e luglio 2025 per due adulti e due bambini nei giorni compresi da domenica a martedì.


Il fulcro della visita era costituito dal Laboratorio delle sorprese Kinder. Un ambiente esclusivo, di solito non aperto al pubblico, situato accanto allo stabilimento produttivo, dove l’immaginazione prende vita. È un laboratorio dedicato alla ricerca, alle idee e all’innovazione, in cui i creativi, i designer e gli ingegneri Ferrero progettano, sviluppano e testano ogni giorno le sorprese Kinder, capaci da sempre di stimolare la fantasia dei bambini di tutto il mondo.


Ferrero ricorda che “era il 1974 quando il gusto della sorpresa ha assunto la forma perfetta: l’ovetto Kinder Sorpresa. Ideato da Michele Ferrero con l’intento di regalare a bambini e adulti la possibilità di vivere e donare l’emozione della pasqua tutto l’anno. Un manifesto della volontà di Ferrero di realizzare prodotti unici ed inimitabili, capaci di offrire a genitori e bambini la possibilità di vivere momenti di gioia, divertimento, scoperta e gioco in famiglia“.


Oggi presente in 80 paesi in tutto il mondo, Kinder Sorpresa è diventato un prodotto simbolo grazie alla combinazione di tre elementi: l’emozione di “scartare”, la felicità di gustare un ovetto dal sapore unico ed inconfondibile e la magia della sorpresa, che continua a suscitare forti emozioni, nonostante il suo formato compatto. Ogni anno, tramite una divisione dedicata, Ferrero sviluppa circa 300 nuove sorprese, create con il supporto di esperti ed a seguito di attenti studi, ricerche e rigorosi controlli di sicurezza, con l’obiettivo di offrire un assortimento vario e completo.


Fin dagli anni ’70, all’interno del famoso bussolotto giallo sono state introdotte numerose tipologie di sorprese, comprese vere e proprie collezioni create internamente o attraverso licenze. Si è passati dalle figures in metallo degli anni ’70 alle serie speciali dipinte a mano degli anni ’90, passando per i componibili, le sorpresine in legno e molto altro ancora, fino ad arrivare agli animali Natoons e ai supereroi contemporanei. Queste sorprese continuano a regalare gioia sia ai bambini che ai collezionisti, che sono, ormai, più di un milione in tutto il mondo.

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Progettavamo per non fare sorprese indigeste

L’ingegner Alfredo Zanellato Vignale spiega le complessità legate all’ideazione delle sorpresine degli ovetti Kinder.

 


Ingegner Zanellato Vignale, quali erano, negli anni ottanta, i requisiti essenziali per poter progettare in sicurezza giocattoli? In particolare, che ruolo avevano le normative nella sua attività di progettista di sorpresine per l’infanzia?


Quando nel 1978 iniziai la mia collaborazione con la società Zetagi, fornitrice delle sorprese per gli «ovetti» Kinder della Ferrero, non eravamo soggetti ad alcuna particolare normativa. Solo in seguito a un incidente che avvenne qualche tempo dopo (credo nel 1980), ovvero l’ingestione di un piccolo pezzo di plastica da parte di un bambino, fu dapprima inserita nel foglietto d’istruzioni la dicitura «non adatto a bambini inferiori ai tre anni», e poi furono introdotti dei limiti alle dimensioni dei singoli componenti. Ricordo che questi dovevano essere inferiori a 17 mm o superiori a 33 mm per poter essere ingeriti senza danno o non essere ingeriti del tutto.


Esistevano altri vincoli progettuali?


Erano ammessi componenti metalliche, che in seguito credo siano state del tutto eliminate, solo se inserite all’interno di involucri di plastica non apribili (incollati). Tutti i materiali dovevano essere necessariamente atossici (per alimenti) e non dovevano essere filiformi, per non essere infilati nelle narici. In un mio successivo, sporadico ritorno, questa volta come diretto progettista della Ferrero, ricordo che i piccoli componenti non potevano più essere liberi, ma dovevano essere già pre-assemblati, in modo da costituire un oggetto di dimensioni tali da non poter essere ingerito, e che per disassemblarli si sarebbe dovuto impiegare uno sforzo superiore a un valore prestabilito .


Chi produceva le sorpresine?


Tra il 1978 e il 1983, le sorpresine venivano prodotte da diversi fornitori esterni, tra i quali la Zetagi, ognuno con i propri creativi responsabili dell’intero processo, dalla progettazione al confezionamento. Allora, io e gli altri fornitori frequentavamo soltanto il marketing della Ferrero, da cui ricevevamo gli input per il progetto e la successiva approvazione. Non so dire se qualcuno produceva su progetto della stessa azienda.


Ci può indicare quali erano i principali materiali utilizzati?


Si trattava quasi essenzialmente di plastica atossica termoplastica e principalmente polistirolo, polietilene e polipropilene.


Si è mai confrontato con la progettazione di un gioco di maggiore dimensione ?


Sempre nell’ambito Ferrero ho progettato la cosiddetta «sorpresa esterna», che veniva posta in un blister all’ esterno dell’uovo di Pasqua e raggiungeva dimensioni notevoli, fino a 10 volte quelle dell’«ovetto» Kinder, e permetteva quindi soluzioni di movimento e di forza impensabili nelle piccole sorprese.


Fonte: Progettavamo per non fare sorprese indigeste – Il Giornale dell’architettura, nr. 55, anno 6, ottobre 2007, pag. 2.

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Dario Pietrobono uno dei più grandi collezionisti al mondo di sorpresine Kinder Sorpresa

Per molti, l’ovetto Kinder è semplicemente un momento di piacere: un pezzetto di cioccolato con un piccolo giocattolo nascosto dentro. Tuttavia, per alcuni, queste sorprese diventano una vera e propria passione. Dario Pietrobono è riconosciuto come uno dei principali collezionisti di sorpresine Kinder in Italia, vantando una raccolta di oltre 40.000 pezzi.

 


L’Ovetto Kinder era il sogno di tutti i bambini, tanto che molte mamme lo usavano come premio o ricompensa: un piccolo gioiello di cioccolato. Tuttavia, c’è chi ha fatto di più, conservando ogni singola sorpresa trovata all’interno degli ovetti creati da Michele Ferrero nel 1974 e distribuiti in tutto il mondo (eccetto negli Stati Uniti, dove è vietato inserire oggetti non commestibili negli alimenti). Si tratta di una collezione straordinaria di 40.000 pezzi, tutti meticolosamente catalogati, alcuni dei quali sono pezzi unici, mai prodotti in serie.


Questa è la storia di Dario Pietrobono, 36 anni, uno dei più grandi collezionisti di sorprese Kinder in Italia, che ha deciso di esporre la sua straordinaria raccolta in un lungo documentario su YouTube intitolato Il Museo delle Sorpresine. “È iniziato tutto nel 1991. Avevo tre anni e Ferrero aveva fatto una campagna promozionale per gli Ovetti Kinder. Rimasi molto colpito: è da qui che ho iniziato a comprarne a raffica – ha confessato Pietrobono a Fanpage -. Da piccolo soffrivo di asma e dovevo fare delle punture. Mi ricordo molto bene che mia mamma in una mano aveva una siringa, nell’altra un Ovetto Kinder come premio”.


La sua passione per le sorprese Kinder è così intensa che l’ha spinto a ideare ingegnosi stratagemmi per riuscire ad ottenere una sorpresa della serie principale. “Nelle confezioni con tre ovetti, quello con il codice KKK aveva una sorpresa della serie principale. Per gli ovetti singoli invece c’era un trucco più sofisticato: li prendevo sempre in pasticceria e chiedevo di pesarli. Se in tutto erano 32 grammi allora c’era una sorpresa della serie principale”, confessa Dario sempre a Fanpage.


La sorpresa alla quale è più legato, invece, è “una tedesca: è un orsetto che ha in mano proprio un Ovetto Kinder. È rimasta nel mio cuore e me la sono sempre portata dietro” spiega Dario. Anche se la sua collezione conta ormai migliaia di pezzi, c’è ancora qualcosa che gli manca: “Una Ranoplà con la borsa dell’acqua calda. È una serie uscita nel 1993. Sono state progettate 14 sorpresine ma ne sono state commercializzate solo 12. Una delle due mai arrivate in commercio è proprio una Ranoplà con la borsa dell’acqua calda. Geniale. È il mio sogno proibito”.


Nonostante la sua grande passione per le sorpresine c’è stata una fase della vita in cui Dario ha smesso di collezionare: “Fino alle scuole medie collezionavo ancora tanto, poi alle superiori ho un po’ lasciato perdere. Le sorpresine erano ancora esposte in bacheca ma non collezionavo molto. Poi dopo i 20 è ricominciato tutto.” E sul perchè di questo ritorno alla vecchia passione spiega: “Forse era il desiderio di non veder morire i vecchi ricordi. Ho ripreso in mano tutte le mie collezioni, ho completato quello che non avevo e ho messo le mani su tutto quello che ruota attorno a questo mondo”.


La sua ricerca è diventata una passione costante, che dopo i 20 anni si è focalizzata sul collezionismo, con un’attenzione particolare a recuperare oggetti di grande valore, come varianti, difetti di fabbricazione ed espositori: “Il costo della mia collezione? Non posso dirlo con certezza. Ci sono dei cataloghi, certo. Alcuni oggetti valgono migliaia di euro ma ci sono cose che non hanno un valore perché sono pezzi unici. Ho una collezione del 1995 che non è mai uscita: sono rimasti solo i prototipi. Ci sarà qualcosa negli archivi Ferrero ma in giro ce l’ho solo io”, afferma Dario, si tratta del concept di un gruppo di elefantini che partecipano ad uno show televisivo destinato al mercato italiano. Tuttavia, non rivela come sia riuscito ad acquisire oggetti così rari, sebbene condivida comunque un piccolo segreto sui collezionisti: “Come ho fatto ad averli? Questo non posso rivelarlo. Gli oggetti più rari si scambiano con gli altri collezionisti. A volte direttamente a mano, altre volte con spedizioni in tutto il mondo. Conta molto il caso. Anni fa Ferrero stava mandando in discarica alcuni modelli o prove per le aziende, qualcuno ha capito il valore e gli ha presi per rimetterli sul mercato. Una volta ho dovuto convincere un anziano brasiliano ad aprire un conto PayPal per vendermi della merce: non aveva idea di come ricevere soldi dall’Italia”.


E la sua passione, dunque, diventa anche un toccasana per passare con spensieratezza il suo tempo libero, con buona pace della moglie: “Vuole buttarmi fuori di casa. Ogni due giorni arriva un pacchetto. È una collezione iniziata quando ero piccolo. Ogni tanto durante la giornata guardo questi oggetti, li sistemo, li ordino, capisco cosa mi manca. È un balsamo per il cuore“, conclude il collezionista.


Fonte: Dario, collezionista di sorpresine Kinder: “Ho 40.000 pezzi, alcuni mai usciti: valgono una fortuna” – Fanpage